Rendimento fa rima con TFR. Una difesa da ingiusti attacchi.

di Beppe Scienza - Libero Mercato, 27-12-2007

 

 

Se fosse una persona, potrebbe sporgere querela per diffamazione, in questo come in tanti altri casi. Gli ultimi a sparlare di lui – ci riferiamo al Trattamento di fine rapporto (Tfr) – sono stati venerdì scorso Fabio Pammolli e Nicola Salerno proprio sulle colonne di Libero Mercato. Ma il Tfr non è una persona, né giuridica né tanto meno in carne e ossa. È solo una componente della paga di milioni di lavoratori dipendenti, per cui non può alzare la sua voce, che non ha, a difesa della propria onorabilità. Proverò quindi io, con le mie forze limitate, a ribattere alle ingiuste accuse che gli vengono mosse; e a ricordarne i rilevanti vantaggi, regolarmente taciuti da giornali, radio e televisioni.

 

In effetti il loro intervento parte con considerazioni del tutto condivisibili sulla mancanza di progressività nella tassazione della previdenza integrativa quale fissata dalla riforma del Tfr. Quelli che seguono sono invece ingiusti attacchi al Tfr (vedi anche su www.cermlab.it).

 

Essi confermano che i collaboratori de LaVoce.info non mollano la presa sul Tfr, la cui sopravvivenza è per loro una spina nel fianco. È però anche vero che hanno tutte le sfortune. Prima i lavoratori italiani non hanno obbedito disciplinati ai loro ordini perentori di dargli un calcio, affidandolo alla cieca alla previdenza integrativa. Poi ora s’è messo anche il Parlamento, prevedendo con la Finanziaria 2008 sgravi fiscali sul Tfr a partire dal prossimo 1° aprile, per altro secondo criteri ancora da stabilire.

 

Una tale decisione è ritenuta gravissima. A sentire loro “il messaggio che prevale è quello dell’incertezza, della mancanza di una direzione”. E già qui appare un po’ infantile lamentarsi e mostrarsi stupiti che sopraggiungano modifiche, come quella in questione, che incidono sulla convenienza relativa dell’una o dell’altra soluzione. Questo è ovvio e comunque inevitabile. Per un lavoratore giovane passeranno 40 anni prima della pensione. Come non attendersi più interventi, in un senso ma anche nell’altro, nell’arco di otto lustri ovvero di almeno otto legislature?

 

Ma li indigna soprattutto la riduzione delle imposte sul Tfr che non obbedirebbe all’imperativo secondo cui “l’adesione al pilastro privato con smobilizzo del Tfr è scelta meritevole che va incentivata”. Però questa è una posizione del tutto opinabile e anzi, a parere di altri, deprecabile. La quintessenza del cosiddetto secondo pilastro sono i fondi pensione negoziali, uno strano ibrido frutto della rinvigorita concertazione fra sindacalisti dei lavoratori e sindacalisti degli imprenditori, ovvero delle associazioni padronali, che assurdamente hanno poteri di amministrazione e controllo su soldi non loro.

 

In effetti la destinazione del Tfr alla previdenza integrativa è la negazione di ogni principio liberista: automatismi e irrevocabilità della sua destinazione, deleghe a scatola chiusa, assenza di ogni trasparenza sulle compravendite fatte coi propri soldi, contrattazione per la propria rendita vitalizia affidata ad altri ecc.

 

Un’imposta da aumentare. Ma Pammolli e Salerno vanno oltre. A conferma che Libero Mercato dà spazio anche a chi vuole aumentare le tasse, essi chiedono che l’aliquota sulle rivalutazioni del Tfr venga elevata dall’11 al 12,5 per cento. La cosa, oltre che paradossale in sé, testimonia un accanimento ideologico nei suoi confronti, cieco a ogni dato numerico. Anche ragionando su un’inflazione al 5% annuo, doppia di quella attuale, l’imposizione fiscale crescerebbe poi solo di uno 0,08%.

 

Ma i lavoratori italiani non si sono fatti irretire dalle promesse di vantaggi fiscali ben maggiori strombazzati dai vari propagandisti dei fondi pensione (Cesare Damiano, Luigi Scimia ecc. fino ad Altroconsumo ). Non si lasceranno certo spaventare da una variazione dello 0,08% l’anno. Che comunque è una miseria rispetto al pesante minus di gestione in Italia del risparmio gestito che giustamente spaventa i lavoratori-risparmiatori. Per i fondi comuni d’investimento arriva a essere anche 60 volte maggiore, ovvero nell’ordine di un –5% l’anno, sulla base di dati ormai ultradecennali.

 

Tfr al maschile. Ma non è finita. Essi sostengono anche “la vetustà del Tfr” quale “istituto incentrato sulla figura del maschio pater familias che assolve alla pluralità dei bisogni del suo nucleo familiare”. Al che bisogna che qualcuno gli spieghi che esistono anche molte lavoratrici single e senza figli, che coscientemente e prudentemente hanno scelto di tenere il Tfr in azienda per non farselo rosicchiare dai costi della previdenza integrativa, non esporlo ai rischi dei mercati finanziari e alla quasi certezza (visti i precedenti) di una cattiva gestione.

 

Inefficienza del Tfr? Ma di Pammolli e Salerno troviamo altri attacchi al Tfr su LaVoce.info in particolare in uno scritto del 25-1-2007 intitolato “Pil, fondi pensione e Tfr”. Ivi essi sostengono senza mezzi termini “l’inefficienza del Tfr”. Sulla base però di quali dati e/o argomenti? Soprattutto sul confronto simulato fra Tfr e fondi pensione contenuto nella “Relazione per l’anno 2004” della Covip (pag. 88 ss.). In particolare essi affermano di ritenere “più verosimile lo scenario prospettato per il periodo 1982-2004”, da cui apparirebbe una redditività nettamente maggiore di fondi pensione negoziali rispetto al Tfr, sempre simulati.

Lasciamo perdere che i due rincarano la dose rispetto alla Covip, tenendo buono il 10,2% annuo per i fondi pensione, ma abbassando invece il rendimento del Tfr dal 5,1 al 4,6 per cento, senza fornire nessuna giustificazione; e che calcolano i tassi reali con la formula sbagliata (vedi “La pensione tradita” pp. 188-189).

 

Il punto è che a qualunque esperto della materia era evidente che quella simulazione della Covip era sballata e indicativa semmai del contrario. Ovvero che in futuro i fondi pensione avrebbero reso di meno (vedi “La pensione tradita” pp. 147-157).

 

Inoltre sostenere con tali argomenti la tesi dell’inefficienza del Tfr è come prendere un automobilista assicurato senza incidenti per vent’anni e dedurne l’inutilità dei premi pagati per tutto quel tempo. Il meccanismo di rivalutazione del Tfr è strutturato per fornire una valida difesa dai crolli dei mercati finanziari e da rendimenti reali pesantemente negativi. La sua efficienza non si vede, né in concreto né con simulazioni, in periodi di vacche grasse e tanto meno negli anni 1982-2004 con le performance drogate da una crescita dei corsi obbligazionari dovuta a una discesa dei rendimenti di 17,5 punti percentuali, unica nella storia economica italiana degli ultimi secoli; e comunque ora irripetibile.

 

Superiorità del Tfr.  La sua efficienza salta agli occhi sviluppando confronti per esempio da fine 1986 a fine 1996, ottenendo mediamente un –22% reale per 100 lire investite in un ipotetico fondo pensione azionario e invece +2% col Tfr. O, meglio ancora, per il ventennio 1963-82 con perdite reali del 77% per un portafoglio metà in azioni e metà in titoli di stato italiani e invece solo del 18% con un ipotetico Tfr agganciato all’inflazione (vedi “La pensione tradita” pp. 114-120).

 

La verità di fondo. Ammettiamolo, il Tfr è una cosa bruttissima. Riguardando solo lavoratori e aziende (oltre l’Inps, i cui interventi di salvataggio sono molti limitati), non dà da mangiare a nessun altro. Non alle banche, che vedono come fumo negli occhi una così grossa realtà di prestito e finanziamento, da cui sono fuori. Non al risparmio gestito, che non ha nulla da mordere. Non ai sindacati, che non ne ricavano niente in termini d’immagine, di potere, di posti ecc.

 

Ma il peggio è che il Tfr non genera occasioni di guadagno neppure a docenti universitari ed economisti in genere: al contrario della previdenza integrativa non offre infatti numerose opportunità per lucrose consulenze, posti in organi di amministrazione e controllo, comitati di gestione ecc.

 

Insomma, l’istituto del Tfr è conveniente solo per i lavoratori e per le imprese (o per lo Stato, se l’azienda ha oltre 49 dipendenti). Quindi è un’istituzione da abbattere.

 

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