Congresso Nazionale RdB - Documento RdB Immigrati - 21/23 maggio 2010

In allegato il documento impaginato

Nazionale -

la lotta per i diritti e la dignità  dei lavoratori e cittadini immigrati
attraverso la sindacalizzazione e nel nuovo soggetto sindacale

 



Premessa


Questo documento si pone l’obiettivo di contribuire a definire un percorso, che parta non da un punto di vista convenzionale, ma da un’analisi concreta della situazione dei cittadini e lavoratori migranti in Italia e delle problematiche a essa connesse. Il primo obiettivo di tale analisi è di arrivare ad individuare le contraddizioni reali che questo fenomeno manifesta nella società. Mentre il secondo è d’ aiutarci a cogliere i punti deboli del nostro intervento evidenziando gli elementi centrali della condizione dei migranti. Il terzo obiettivo, infine,  risiede nella definizione di un percorso di partecipazione e di organizzazione dei cittadini e lavoratori immigrati – nell’unità e nella solidarietà con tutti i lavoratori - nel NUOVO SOGGETTO SINDACALE in quanto soggetti protagonisti.



Continuare a considerare il tema “immigrati” soltanto alla stregua di un problema etico/umanitario lascia il tempo che trova; si tratta di capire e di definire come coinvolgere nell’organizzazione una parte crescente della classe lavoratrice nel contesto contemporaneo europeo in generale, ed in particolare nel contesto italiano attraverso le sue periferie e metropoli.



Si tratta di una questione che in Italia da una parte presenta aspetti e problematiche specifiche – relative alle provenienze, l’identità culturali/religiose, ecc, aggravate dal quadro legislativo vigente, in particolar modo la legge Bossi-Fini e il pacchetto sicurezza: clandestinità,  criminalizzazione, lavoro nero, sfruttamento, ecc. - dall’altro si sta caratterizzando come contraddizione interna al corpo sociale, lavorativo e nei settori popolari della società.



I fatti accaduti a Castelvolturno nel casertano in cui sono stati uccisi sei migranti, la rivolta dei migranti a  Rosarno con la successiva caccia “ai neri” di fronte ad una situazione di neoschiavismo - ma è solo l’ultimo di una serie di episodi simili - segnalano un salto di qualità nella violazione e negazione dei diritti: il diffondersi del razzismo e della xenofobia è un dato ormai inoppugnabile, alimentato negli ultimi due decenni dalla Lega, dalla destra e dalle scelte di alcuni amministratori di centro sinistra, che sull’insicurezza, sulla paura e sull’odio per “il diverso” hanno costruito le loro fortune elettorali. Questi atteggiamenti si stanno sempre più diffondendo nella società, con le aggressioni a sfondo razziale ai danni dei migranti, richiedenti asilo, rifugiati, rom, ecc..



La crisi economica, accompagnata dall’insicurezza lavorativa, sociale e dalla precarietà, spinge anche chi tra gli italiani finora poteva dirsi in qualche modo garantito, in situazioni sempre più difficili: disoccupazione, licenziamenti, cassa integrazione, mobilità e riduzione dei salari e del tenore di vita.



In questa drammatica situazione, l’impiego sempre più considerevoli di masse di lavoratori immigrati ad opera di gran parte delle aziende, cooperative e famiglie in quanto forza lavoro più ricattabile, costretta ad accettare lavori in nero con paghe da fame, sfruttata, schiavizzata senza nessun elemento giuridico di difesa, continua ad affermarsi come base normale dei rapporti di lavoro.



Inoltre aggiungiamo i problemi costituiti dalle migliaia di migranti privi di un permesso di soggiorno – non per questo illegali – costretti per via della legge Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza a vivere ai margini delle periferie delle città, lungo le rive dei fiumi, sotto i cavalcavia, nelle ex fabbriche fatiscenti, fantasmi che di giorno vanno ad ingrossare le file davanti ai cantieri, che lavorano viaggiando tra Sud, Centro e Nord nei campi di raccolta e presso le famiglie per delle somme misere.


 
Osservando i lavoratori migranti nel subire e nell’accettare queste condizioni, ci troviamo di fronte tre elementi fondamentali: il primo vede i lavoratori migranti sottostare a questo calvario lavorativo come unica soluzione per la propria sopravvivenza e per la salvaguardia del proprio permesso di soggiorno, se regolare, in quanto collegato al contratto di lavoro. Il secondo riguarda l’utilizzo della forza lavoro dei migranti come presupposto per l’abbassamento dei diritti e dignità dell’insieme dei lavoratori. Ed ecco qui il terzo elemento che è inevitabilmente considerato –malgrado i migranti- occasione di conflitto con i lavoratori autoctoni, in nome della lotta alla concorrenza sleale. Insomma una guerra tra poveri.



L’idea, diffusa dai progressisti/buonisti, che il lavoratore immigrato non sia in concorrenza con il lavoratore italiano, è una mera astrazione, idealismo appunto, considerando che tutti i lavoratori in un sistema di mercato sono posti in concorrenza tra di loro e che l’unità, la solidarietà, le alleanze non sono affatto un prodotto naturale e automatico. E’ necessaria pertanto l’individuazione di elementi comuni attorno ai quali costruire momenti e processi di lotta, di rivendicazione, a partire dallo “status” o “dall’essere” dei lavoratori, precari, senza casa, che esprimono il bisogno di uno strumento di organizzazione e terreni di  ricomposizione. Un’organizzazione sindacale che sappia unire al di là della nazionalità, della provenienza geografica, culturale, religiosa, ecc…


 
Tutto ciò premesso, significa che dobbiamo evitare di riprodurre anche al nostro interno letture superficiali sul fenomeno e sulla situazione dei migranti. Perché bisogna approcciare il problema analizzando le differenze di condizione e la diversità dei contesti presenti nelle varie zone del paese, distinguendo ed analizzando i vari settori e le differenze: regolari, irregolari, fissi e stagionali, lavoratori agricoli, dei servizi, dell’industria, addetti all’assistenza domestica – colf e badanti – ambulanti, edili, ecc…



Come possiamo affrontare questa situazione che vede i migranti subire in prima persona questo disagio? Come intendiamo affrontarlo tenendo presente il carattere politico e sindacale rappresentato dalla specificità della questione? Insomma qual è la strategia organizzativa sindacale che sappia sfidare questo conflitto che oppone lavoratori italiani ad immigrati, settori popolari italiani contro immigrati?



Vogliamo farlo appellandoci ad un antirazzismo generico, al buon cuore delle persone? Soluzione che rischia di rimanere un esercizio etico assolutamente insufficiente di fronte ai problemi posti dalla situazione. O vorremmo affrontarlo con gli schemi sindacali classici?



Nessuno di questi strumenti da solo è idoneo nel quadro attuale a fronteggiare questa situazione, che ci pone un problema di carattere qualitativamente più alto, che attiene alla nostra funzione politica generale. Problematiche cui difficilmente troveremo risposte adeguate né dentro il movimento antirazzista né con iniziative  sporadiche tout court.



Questo è una delle sfide centrali, per la quale il nuovo soggetto sindacale è chiamato a mettere in campo delle strategie e riflessione permanenti – visto la rapidità dei processi di cambiamento in corso - alla luce delle contraddizioni sopra evidenziate.

 

 


 
Il contesto


In Europa e in Italia il tema dell’immigrazione e degli immigrati continua ad essere politicamente gestito con dimensioni sempre legate a questioni di ordine pubblico e di controllo, di mantenimento delle condizioni di sfruttamento, della degradante situazione sociale e lavorativa degli immigrati.



L’entrata in vigore dall’8 agosto 2009, del pacchetto sicurezza con l’introduzione del reato di “clandestinità”, le delibere comunali anti-immigrati, sono tutti atti che non solo condannano lo “status” sociale dell’ essere immigrato, ma condizionano tutto il settore dei lavoratori immigrati in generale.



Il fallimento della regolarizzazione per colf e badanti o la condizione emersa pubblicamente con i fatti di Rosarno ci pongono urgenti problemi di lettura della condizione degli immigrati che è molto complessa e articolata, dove al lavoro “tutto in regola e a tempo indeterminato” si accompagnano situazioni di vera semi-schiavitù.

 

 



Quadro demografico


La presenza dei cittadini immigrati oggi in Italia, secondo dati Caritas 2009, ci dà una immagine legata ad una crescita in termine demografico  di circa 4.330.000 presenze, corrispondenti al 7,2% della popolazione residente. La percentuale è quasi raddoppiata tra il 2001 e il 2008.



Più di un quinto è costituito da minori (862.453) pari al 12,6% del totale dei nati in Italia nel 2008. Il 53,6% è d’origine europea non aderente all’Unione Europea, il  22,4% sono persone provenienti dall’Africa, gli asiatici sono il 15,8% ed infine gli immigrati provenienti dalle Americhe  l’8,1%.


 
La ripartizione territoriale di questa presenza è caratterizzata con un 12,8% nel Meridione, il 25,1% al Centro, ed infine il Nord col 62,1%.



Ricordiamo che questi dati non includono coloro che pur essendo di fatto in Italia, sono privi del permesso di soggiorno, il cui numero secondo numerose fonti oscilla intorno alle 5/600.000 persone.

 

 



Scuola e Università


Negli ultimi cinque anni, gli alunni di genitori stranieri presenti nelle scuole italiane, sono saliti a 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti, per un incidenza del 7%. (Caritas 2009)



Considerando la popolazione tra i 15 e i 64 anni, la quota di stranieri che nel 2008 possiede un titolo di studio fino alla licenza media è pari al 51,1%; il 38,4% ha un diploma di scuola superiore e il 10,5 una laurea. (Istat Gennaio 2010), mentre nelle università italiane gli studenti stranieri sono 51.803 con 11.500 immatricolati nel 2008 e quasi 6.000 nuovi laureati.



Si pone il problema d’ iniziare un ragionamento differenziato sulle prospettive e sul ruolo delle seconde generazioni, figli di immigrati che hanno frequentato le nostre scuole ma che giunti alla maggiore età scoprono di non avere più il diritto di rimanere legalmente in Italia; che, quando non finiscono nei CIE, si trovano senza lavoro e senza permesso di soggiorno. Ragazzi che finora si sentivano uguali ai loro coetanei italiani e che scoprono invece di avere davanti un oggi di razzismo ed un futuro di espulsioni e/o di ricatti.

 





Lavoro e Infortuni


Nel 2008 il numero dei rapporti di lavoro di stranieri registrati presso l’Inail è arrivato a 3.266.395 (+41,9% in quattro anni). Nel 42% dei casi si tratta di donne, divenute ormai indispensabili al nostro sistema di welfare. Infatti, il 71,6% delle colf e delle badanti che lavorano in Italia (pari complessivamente a circa un milione e mezzo) è di origine immigrata. (rapporto OCSE Censis 2009).



A gennaio 2009 le forze di lavoro straniere rappresentavano il 7,6% del totale. Il tasso di attività della popolazione straniera è di oltre dieci punti percentuali più elevato di quello della popolazione residente totale (73,3% contro 63,0%), con un apporto all'economia italiana che ammonta a 134 miliardi di euro, pari al 9,5% del prodotto interno lordo.



Ciò nonostante, è sempre più in crescita il numero di disoccupati immigrati. Vale a dire che risultano più alti tra gli immigrati i tassi di disoccupazione.



Dalla caratterizzazione ed articolazione per località e settori produttivi emerge, da gran parte degli studi statistici, ad esempio che coloro i quali sono occupati prevalentemente nel settore dei servizi alle famiglie, risiedono principalmente nei comuni capoluogo di provincia (rispettivamente il 79,6% ed il 55,9%).



Osserviamo ad esempio che il 79,1% dei macedoni, circa l’83% degli indiani, il 79% dei marocchini, quasi il 74% degli albanesi e il 72% dei tunisini che operano prevalentemente nell’agricoltura, zootecnia e pesca, risiedono invece in comuni non capoluogo. Anche se da queste osservazioni bisognerebbe depurare l’effetto prodotto dal minor costo della casa in provincia e quindi dal pendolarismo degli immigrati.



Mentre a livello nazionale si riscontra una composizione per cittadinanza variegata, a livello locale in definitiva è possibile individuare diversi casi di concentrazione di alcune nazionalità. Questo fenomeno è legato principalmente all’azione delle catene migratorie (ricongiungimenti familiari e attrazione della singola comunità nei confronti del paese di origine), che manifestano i loro effetti in molte aree del Paese, anche a seconda delle caratteristiche locali della domanda di lavoro.” Istat 2009.



Questi elementi, seppur sommari, ci danno un’idea della complessità dei problemi legati alle condizioni concrete dell’ immigrazione, all’ ulteriore trasformazione della composizione di classe, alle differenze di condizioni, di cui dobbiamo tenere conto per non rischiare di approcciare questo fenomeno in modo approssimativo e superficiale.



Questo significa tra l’altro che a bisogni e condizioni diverse dovranno corrispondere schemi di lavoro diversi, analizzando, adattando volta per volta, territorio per territorio, alle peculiarità della loro presenza modelli e caratteristiche del nostro intervento.




L' ultima rilevazione effettuata dall’Inail, 31 ottobre 2009, relativa agli infortuni degli stranieri nell'anno 2008, ci dice che gli eventi infortunistici occorsi a lavoratori stranieri hanno rappresentato il 16,4% del totale. Quasi il 96% di questi infortuni (per l'esattezza 137.279) si è verificato nel settore dell' Industria e Servizi, in primo luogo le Costruzioni che con 21.017 denunce, rappresentano il 14,6% di tutti gli infortuni riguardanti i lavoratori stranieri. Questo settore, inoltre, detiene anche il primato degli infortuni mortali tra gli immigrati: ben 47 nel 2008, che equivale a 1 decesso su 4 tra tutti quelli segnalati all'Istituto.



A questo si aggiunge la condizione legata alla tipologia di lavoro che produce nel medio lungo periodo malattie professionali, con difficoltà al riconoscimento da parte degli istituti di previdenza, oltre all’immediata perdita del lavoro, dell’ inidoneità acquisita (si pensi, ad esempio, la non ricollocabilità interna di un operaio parzialmente inidoneo che sia socio-lavoratore in una cooperativa di facchinaggio).

 

 



Condizione contrattuale


Gli immigrati regolari con lavoro dipendente sono circa l’85% (71.8% con contratti a tempo indeterminato), l’80% è a tempo pieno, i lavoratori autonomi sono il 15.4%.


Settori: il 55% è impiegato nei servizi in senso ampio del termine (dalle pulizie agli appalti interni all’industria e ai trasporti), il 40% è nell’industria (23.3 nel manifatturiero e il 16.8% nelle costruzioni). Naturalmente questi dati non contemplano i lavoratori migranti privi di un permesso di soggiorno.



Tra i settori poco gratificanti sotto l'aspetto retributivo, ci sono quelli dei servizi alle imprese, il tessile e il commercio, dove la retribuzione è al di sotto dei 10.000 euro annui


La situazione delle donne è ancora più difficile. Percepiscono, infatti, una retribuzione media inferiore del 41,2%.  L'ambito della collaborazione domestica e familiare, nel quale la maggior parte risulta impiegata, è caratterizzato  da un livello retributivo pari a meno della metà della retribuzione media (4.860 euro l'anno, -51,6%) e corrisponde a meno di un terzo rispetto a diversi settori dell'industria.



Nonostante il livello di scolarità, quasi l'84% è operaio, mentre solo il 9,3% è impiegato, il 6,4% è apprendista e il restante 0,5% è in una posizione di quadro o dirigente.

 




Gli effetti della crisi


La crisi economica  con i suoi effetti devastanti, non risparmia - ad eccezione dei veri responsabili e speculatori - nessun lavoratore e famiglia che siano italiani o migranti. Con la perdita di lavoro, della casa, insomma l’impossibilità di progettare un futuro migliore e dignitoso.



La casa e il diritto all’abitare sono diventati per gli immigrati, come per gli italiani, un problema sempre più pressante: si registra un aumento degli sfratti per morosità a causa dell’aumento del canone o della perdita del lavoro (soprattutto al Nord, dove le famiglie immigrate rappresentano il 22% del totale delle famiglie sfrattate). Allo stesso tempo si è fermata la corsa al mattone degli immigrati: tra il 2007 e il 2008 gli acquisti di immobili da parte di immigrati sono diminuiti del 23,7% interrompendo un ciclo di crescita che durava da quattro anni.



Gli effetti della crisi si sono fatti sentire anche sulle rimesse: diminuisce del 10% la cifra pro capite che gli immigrati inviano mensilmente in patria (155 euro nel 2008 a fronte dei 171 del 2007) e rallenta il ritmo di crescita dell’ammontare complessivo delle rimesse (6,4 miliardi di euro nel 2008).



Nell'Unione Europea – secondo il 43esimo Rapporto Censis - il tasso di disoccupazione tra i lavoratori immigrati nel periodo 2007-2009 ha registrato una crescita di 3,1 punti percentuali, a fronte di un incremento dello 0,7% tra gli autoctoni.



In Italia, il tasso di disoccupazione nel 2009 tra gli immigrati è cresciuto del 2,2% contro una crescita per gli italiani dello 0,6%. Mentre quelli in cerca di lavoro sono cresciuti del 40,8%, contro l' 8,1% tra gli italiani.



I lavoratori immigrati subiscono oggi la crisi due volte. In primo luogo con la perdita del posto di lavoro ed in secondo luogo con la perdita del permesso di soggiorno e la prospettiva di finire in un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE).



I fatti di Rosarno hanno acceso i riflettori anche sul fenomeno delle migrazioni interne, da regione a regione secondo i tempi del raccolto dei vari prodotti, fenomeno ingrossato dalla crisi dei settori industriali con licenziamenti, cassa integrazione ecc… che hanno, ovviamente, coinvolto gli immigrati.



Le politiche in materia di immigrazione trovano la loro cornice in un processo normativo che vede la prima “sistemazione” organica nella legge Turco-Napolitano del 1998, approvata dal governo di centro-sinistra, ed in particolare nella Bossi-Fini, approvata dal governo di centro-destra nel 2002; questa legge di fatto subordina il contratto di lavoro al permesso di soggiorno e viceversa. Tradotto vuol dire costringere i lavoratori migranti a subire ogni forma di sfruttamento sul lavoro, limitando di conseguenza il loro margine di tutela e contrattazione.


La situazione poi si è ulteriormente aggravata con l’approvazione del pacchetto sicurezza che ha introdotto l’aggravante di “clandestinità” in reati anche di tipo amministrativi aumentandone le pene.



Non dimentichiamo le responsabilità di Cgil, Cisl e Uil che si sono limitati in linea generale a mera constatazione, al più dichiarazioni d’intenti e testimonianza, elemento che non ha però inciso quantitativamente sul livello delle iscrizioni a questi sindacati, spesso più per i servizi di assistenza che di rappresentanza. “Dei circa 2 milioni di lavoratori immigrati, quasi 1 milione si è iscritto ai sindacati.” Caritas 2009.



Occorre quindi superare, anche da parte del sindacalismo di base, la dimensione legata alla rappresentazione dei problemi. Bisogna andare più a fondo nella capacità di lettura della condizione dei lavoratori migranti in quanto espressione reale della classe operaia, in particolare rispetto alle nuove dinamiche della produzione in un contesto di globalizzazione.

 


 

Bilanci e prospettive


Fare un bilancio del lavoro svolto fino ad oggi, significa ricordarsi innanzitutto tutto da dove siamo partiti. Le nostre prime esperienze sono partite a Napoli, nel 2004, con l’apertura degli sportelli in questa città.


Gli sportelli - che oggi sono operativi a Napoli, Roma, Pisa, Vicenza, Casalpusterlungo nel Lodigiano, Castel San Giovanni nel Piacentino, Milano, Torino e a breve Mestre-Venezia e Cagliari - hanno lo scopo di coniugare informazioni, assistenza, orientamento e soprattutto “vertenze”, di carattere sindacale o sociale là dove se ne presentino le condizioni  concrete, nonché il rapporto con i movimenti e le iniziative locali.


Né possiamo dimenticare il rapporto con il movimento antirazzista e la partecipazione alle scadenze politiche generali.


L’impegno politico-sindacale ci ha visto protagonisti, insieme ai coordinamenti migranti, alle associazioni e movimenti antirazzisti, alle iniziative nazionali e territoriali, non ultima la straordinaria manifestazione nazionale antirazzista del 17 ottobre 2009.


Se su questo versante  possiamo dirci soddisfatti, non possiamo trascurare gli altri aspetti  relativi al non adeguato livello organizzativo e di coordinamento del nostro intervento rispetto alla dimensione sindacale.


Questo fatto deriva  da vari motivi. Sicuramente dalla scarsezza delle risorse economiche e umane da dedicare allo sviluppo del settore ( cui dovremo dedicare maggiore attenzione tenuto conto che non possiamo contare solo sul volontariato) ma anche dallo scarso coinvolgimento -a livello territoriale- dei riferenti degli sportelli nelle discussioni sulle scelte organizzative e strategiche del sindacato.


Bisogna eliminare l’idea che gli sportelli siano strumenti “estranei” al corpo centrale dell’intervento sindacale, come se si trattasse di una sorta di appendice caritatevole/assistenziale.


Tutto ciò ha comportato il rallentamento di un reale lavoro di “sindacalizzazione” e di partecipazione diretta degli immigrati al nostro progetto sindacale: i risultati positivi raggiunti con l’apertura degli sportelli possono soddisfarci solo in parte in alcuni casi, visto che spesso  è mancato l’aspetto sindacale vero e proprio.
Alla luce di questi risultati, è necessario un salto di qualità,  capace di cogliere bene le caratteristiche generali dell’intervento, la cui declinazione pratica potrà variare molto da zona a zona del territorio italiano.



L’ organizzazione e la crescita del protagonismo degli immigrati nel processo del nuovo  soggetto sindacale sarà un banco di verifica della stessa capacità del nostro progetto di sindacato generale, in grado non solo di  individuare e rappresentare le nuove sfide e di evocare il conflitto, ma di mettere le mani nella struttura delle contraddizioni andando alle loro radici, aggregando, costruendo e proponendo soluzioni alternative concrete; non si tratta di organizzare una categoria o settore degli immigrati, ma di creare e coordinare in maniera specifica gli strumenti di analisi e organizzativi  per dare le giuste risposte ai problemi che questa realtà ci pone.



Dare una svolta al nostro intervento, da una dimensione legata finora alla rappresentazione dei problemi e delle contraddizioni ad una nuova fase, alla sindacalizzazione attraverso l’organizzazione in modo strutturato e con la partecipazione dei lavoratori immigrati (dall’iscrizione regolare alla formazione del quadro dirigente) al nostro progetto di sindacato indipendente, conflittuale e generale: è questo il compito su cui vogliamo misurarci.



Alla luce di quanto sopra, pensiamo che per rilanciare il nostro intervento siano necessarie alcune indicazione pratiche.

 

 



A)    Livello nazionale



La costituzione di un gruppo di coordinamento nazionale – a stretto rapporto con la Confederazione-  con il compito:


·    di definizione delle priorità, d’ individuazione delle proposte di piattaforme sindacali e sociali, di campagne e scadenze nazionali, in grado di elaborare analisi approfondite sulle condizioni particolari dei migranti in rapporto con le condizioni più generali del mondo del lavoro, di promuovere la formazione;


·    di convocare le riunioni con i vari responsabili territoriali del settore immigrazione prevedendo, se necessario la partecipazione dei responsabili del settore privato;


·    di organizzare periodiche  conferenze nazionali per verificare i lavoro svolto;


·    di mantenere un rapporto permanente con il settore privato come canale di partecipazione e sindacalizzazione;


·    di confrontarsi con l’ As.I.A. per quanto riguarda il diritto all’abitare;


·    di curare Il rapporto costante con le associazioni, le comunità, i coordinamenti o comitati  nazionali ed europei dei migranti;


·    di rapportarsi con le istituzioni nazionali, quali i Ministeri dell’Interno, delle Politiche Sociali e Lavoro, ecc.


·    di curare la collaborazione con associazioni o gruppi di avvocati, sia come  supporto legale indispensabile relativo alle problematiche connesse alla condizione di immigrato, sia come aiuto per l’elaborazione di specifiche proposte nazionali o locali


·    di partecipazione – mantenendo la nostra autonomia di giudizio e d’azione - alle scadenze di movimenti nazionali o europei antirazziste.

 

 

B) Livello territoriale e locale



-    La costituzione dei Coordinamento regionali – anche questi in stretto rapporto con la Confederazione -  con il ruolo d’ individuazione dei bisogni locali e regionali e di attuazione ed implementazione delle strategie individuate a livello nazionale;


-    L’organizzazione di conferenze regionali, con cadenza almeno annuale;
-    Il potenziamento dell’attività degli sportelli, come strumento di partecipazione e sindacalizzazione,  con l’individuazione di un riferente o responsabile


-    Il rapporto permanente con il settore privato ( ad esempio le cooperative, il settore metalmeccanico e i servizi) come canale di partecipazione e sindacalizzazione;


-    Il rapporto con il coordinamento nazionale  in relazione all’elaborazione delle linee guida per le piattaforme contrattuali riguardo al tema immigrati;


-    Il confronto con AS.I.A per quanto riguarda il diritto all’abitare. In particolare rispetto alle esperienze già avviate con gli immigrati e per l’intervento a carattere più da “sindacalismo metropolitano”;


-    Il rapporto costante con le associazioni, le comunità, i coordinamenti o comitati (senza sostituirsi ad essi) locali dei migranti;


-    Il rapporto con le istituzioni locali, quali prefettura, il Consiglio Territoriale per l’immigrazione, la questura, ec…;


-    Il rapporto con gli enti locali, quali il Comune, la Municipalità o la Circoscrizione, la Provincia, la Regione.

 

Aprile 2010

 

RdB Immigrati