CONGRESSO NAZIONALE RdB PUBBLICO IMPIEGO, 21 Maggio 2010 - Rocca di Papa -documento-

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Nazionale -

Premessa



I processi di trasformazione del modello sociale attuale hanno, da tempo messo al centro il problema della pubblica amministrazione e dei pubblici dipendenti. Il taglio della spesa pubblica comporta sicuramente lo storno di risorse dalla pubblica amministrazione verso imprenditoria e banche, ma non è solo questo.



Dal ‘93 ad oggi assistiamo alla realizzazione di una strategia univoca, che si realizza in forme sicuramente diversificate, ma con lo stesso obiettivo: la trasformazione della pubblica amministrazione e la sconfitta della capacità di resistenza dei pubblici dipendenti. Dopo aver normalizzato il settore privato devastando diritti e conquiste, era inevitabile che lo scontro sociale si spostasse nel pubblico impiego. Questo, per struttura, funzione sociale e articolazione diffusa, rappresenta un elemento di resistenza alle trasformazioni, anche a prescindere dal livello di coscienza sociale e sindacale del pubblico dipendente. Spesso il corporativismo accentuato ha sostituito la mancanza di coscienza sociale, alimentando la resistenza alle riforma. Ma ora ci sono segnali di sensibile cambiamento.



La presenza del sindacalismo di base nella pubblica amministrazione, in forma fortemente strutturata, non è dovuta solo alle presunte garanzie normative, che in realtà si sono quasi  sempre rivelate un ostacolo allo sviluppo organizzativo, ma dall’immissione in massa di giovani senza lavoro che hanno maturato coscienza dei propri diritti , come quello al lavoro. Il livello di coscienza acquisito, unito alla capacità di lotta e vertenziale, hanno consentito lo sviluppo di un’area sindacale che non solo sviluppa conflittualità vertenziale, ma che determina crescente coscienza di sé nei pubblici dipendenti. Un pericolo mortale per ogni riforma.



La riforma del ‘93, con l’introduzione del modello aziendale, definisce alcuni elementi strutturali del nuovo modello sociale. Le forme sono quelle tipiche
della socialdemocrazia, cioè far apparire come conquiste le sconfitte scientificamente preparate. In nome di efficienza e risparmio, in una condizione di isolamento sociale del pubblico dipendente, rappresentato con il cliché dell’impiegato svogliato e furbo, comincia la vera trasformazione del pubblico impiego. La prima forma di privatizzazione del rapporto di lavoro è da una parte un chiaro attacco alla condizione lavorativa dei dipendenti, da una parte, dall’altra sancisce la subordinazione della pubblica amministrazione alle esigenze dell’impresa. È la fine del ruolo di intermediazione sociale della pubblica amministrazione. In tale processo non poteva mancare l’attacco alle libertà sindacali per ostacolare lo sviluppo di un sindacalismo conflittuale e non concertativo. La capacità di elaborazione strategica del proprio essere sindacato ha consentito di superare, rafforzando ruolo e strutture, la fase, ma ormai il danno era fatto, si trattava solo di continuare.

 





La nuova fase di attacco ai pubblici dipendenti


A fronte della resistenza dei pubblici dipendenti, sia essa consapevole e organizzata, sia di semplice carattere conservativo, si impone un ulteriore processo di riforma. Inizia così la denigrazione del pubblico dipendente indicato come la causa vera dei mali della pubblica amministrazione e dei suoi sprechi. Una offensiva mediatica strutturata, con copertura di tipo scientifico da parte di studiosi di rango. L’obiettivo era ed è quello di fiaccare la resistenza dei dipendenti pubblici, isolarli dall’opinione pubblica e scavare il solco precedentemente realizzato tra pubblici ipergarantiti e privati non garantiti. Alla fine di questa campagna si è abbattuta con la leggerezza di un bisonte inferocito, la riforma Brunetta, il piano aziendale della pubblica amministrazione che conclude l’opera iniziata dal centro sinistra e dal prof. Ichino.



Il furore liberista e la boria populista del nuovo governo partoriscono il piano aziendale della pubblica amministrazione o meglio conosciuto come decreto Brunetta. L’intero impianto si disinteressa della più piccola riforma della P.A. e si concentra nell’attacco finale alla resistenza dei pubblici dipendenti. Anche perché fare la loro riforma è molto semplice: esternalizzazione delle funzioni pubbliche affidate ai privati, riduzione delle funzioni di controllo e dei servizi ad esse dedicati, riduzione di personale con strage di precari e consunzione degli stabili per limiti di età e carichi di lavoro pesantissimi, riduzione della spesa pubblica in maniera indiscriminata e verticale badando bene a non mettere le mani sulla corruzione ( 60 miliardi annui, corte dei conti ) che ormai assume la dimensione di un vero e proprio saccheggio.

 



Senza più neanche la retorica della privatizzazione alla ricerca della funzionalità, si applica la forma di gestione privata per attaccare i dipendenti pubblici. Tale attacco si snoda su linee ben precise:



·    codice disciplinare da caserma, senza garanzie di difesa e di tutela sindacale. Una fidelizzazione autoritaria dei dipendenti legando al comportamento, valutato ovviamente in maniera discrezionale, possibilità di carriera, accesso a salario variabile fino alla possibilità di licenziamento. Tanto è vero che il licenziamento per motivi disciplinari viene considerato come strumento di riduzione del personale.


·    valutazione esterna della produttività dei singoli e dei servizi con conseguente schedatura dei dipendenti, un modello che umilia la professionalità dei singoli dipendenti e non ha alcuna possibilità di riscontri oggettivi. Il risultato sarà la lista dei buoni e dei cattivi in un sistema che prevede prima di ogni verifica, che almeno uno su quattro sia sicuramente cattivo, a prescindere dalla sua capacità lavorativa. Ma se la capacità lavorativa non è il mezzo di valutazione, quale sia è facile immaginarlo.


·    riduzione del salario, fatta con i vari interventi legislativi e con la valutazione come descritta sopra.


·    riduzione della dirigenza a quadro intermedio di fabbrica con potere sanzionatorio, senza alcuna funzione di coordinamento, ma utilizzata solo per il controllo dei dipendenti attraverso sanzioni disciplinari erogabili direttamente e valutazioni ad personam obbligatoriamente differenziate.


·    abolizione di fatto delle relazioni sindacali e della contrattazione aziendale, attraverso la sottrazione di materie di contrattazione regolate solo per legge ed attraverso un secondo livello di contrattazione che da integrativo torna ad essere applicativo.


·    devastazione dei comparti di contrattazione con la scusa della semplificazione.  In realtà l’obiettivo è la distruzione dell’identità funzionale che i vecchi comparti in qualche modo definivano. È evidente come si cerchi di indebolire la resistenza creando promiscuità normative e contrattuali con il rischio di attivare una conflittualità interna ai dipendenti.  


·    primato della legislazione sulla contrattazione svelando l’inganno del processo di privatizzazione del rapporto di lavoro.

 



Un concetto quest’ultimo che hanno sempre usato come hanno voluto e che noi abbiamo sempre sintetizzato come la sintesi del peggio del pubblico sommato al peggio del privato.



 La difesa dello stato sociale e delle funzioni sociali della pubblica amministrazione, terreno sul quale i pubblici dipendenti cercano alleanze nel corpo sociale, non è solo la vecchia difesa dei servizi sociali, è qualcosa di più. È la difesa della nostra condizione sociale, del nostro ruolo e del suo riconoscimento, è la fine della restituzione del salario non erogato attraverso servizi sociali reali e indispensabile ad una vita dignitosa.


Il passo indietro lo abbiamo già fatto, ora dobbiamo fare i due passi avanti.

 

 




Il Decreto Brunetta e la controriforma della p.a.



Concretamente il decreto legislativo opera modifiche senza precedenti non solo riguardo all’assetto della P.A. ma cancella diritti dei lavoratori come quello alla carriera al salario  ad un giusto inquadramento etc.



Il Governo mette mano al modello organizzativo della P.A .e riduce i comparti di contrattazione da 9 a 4


   
Questa scelta non è casuale; nell’ultimo decennio Confindustria  non ha fatto altro che sostenere la necessità di ridurre il numero dei”contratti di lavoro” per eliminare ritardi e sovrapposizioni  nei rinnovi contrattuali. Una semplificazione questa, che vuole spingere verso il basso le condizioni economiche e normative dei lavoratori; ben diversa da quella per la quale ci battiamo e che ipotizza ad esempio la cancellazione di tutte le forme contrattuali “atipiche” contenute nel “pacchetto Treu” e nella legislazione successiva.



Le organizzazioni sindacali concertative - Cgil compresa -  hanno operato il gioco delle parti  e lavorato per arrivare a concretizzare l’obbiettivo di Confindustria, obbiettivo che avrebbe portato benefici anche a loro; basta pensare a quello che è accaduto nei Trasporti.



Infatti nel Contratto della Mobilità sono stati concentrati tutti i contratti esistenti nel settore trasporti: trasporto pubblico locale, trasporto aereo, marittimo, ferroviario etc., ma guarda caso proprio nel settore del trasporto pubblico locale  il sindacato di base è forte e diffuso nel Paese con centinaia di strutture e migliaia di iscritti.


Quale soluzione migliore che quella di ampliare a dismisura il numero dei lavoratori del settore per diluire considerevolmente il peso e la rappresentatività  del Sindacato di Base ?




Anche la riduzione del numero dei Comparti di contrattazione nel P.I. corrisponde al tentativo e alla necessità del Governo e di Cgil Cisl Uil di  arginare il consenso e l’adesione dei lavoratori pubblici a RdB e a tutto il sindacalismo di base.




Certo vi è anche un altro obbiettivo che il Governo vuole pervicacemente perseguire: concentrare in un unico contenitore il maggior numero di lavoratori per livellarne a ribasso non solo le retribuzioni ma anche i diritti collettivi e individuali. Ne è esempio eclatante il “compartone” dove vorrebbero ammassare i lavoratori dei Ministeri, Parastato, Agenzie Fiscali e forse Università e Ricerca.




Continua incessante l’attacco al salario dei dipendenti pubblici. I contratti nazionali sono scaduti a dicembre 2009 e la Finanziaria non ha stanziato neppure un euro. Siamo quindi di fronte ad un ennesimo blocco dei rinnovi che porterà le risorse dovute ai lavoratori a banche e imprese. Infatti  oltre al blocco dei rinnovi contrattuali , il Governo ha confermato il blocco delle assunzioni, il licenziamento dei lavoratori precari, l’aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici del P.I. e grazie al famigerato “collegato”.



creatura del Ministro Sacconi, si profila il licenziamento dei pubblici a seguito di dichiarazione di esubero per cessazione di ramo d’azienda ( vendita o cessione di funzioni pubbliche a privati) o privatizzazioni.


Ma non è tutto. La riforma per essere digerita non poteva non contenere l’inasprimento del codice disciplinare; ed ecco che per tutta una serie di contestazioni le sanzioni saranno decise direttamente dal Dirigente del lavoratore. Sarà sempre il Dirigente ad avere la più ampia discrezionalità nel concedere il salario di produttività  attraverso il sistema di valutazione delle tre fasce, nel concedere i passaggi orizzontali  e nel riconoscimento della professionalità.

 

 




Il nostro progetto



La portata del progetto governativo è stata perfettamente compresa dai dipendenti che pubblici che, accompagnati da una vertenzialità trasversale e puntuale come quella messa in atto dalla RdB, acquisiscono sempre maggior coscienza man mano che la riforma Brunetta si materializza nella loro condizione lavorativa. Le prossime elezioni RSU potrebbero dare un segnale di inizio di una controtendenza sul piano delle relazioni sindacali nel paese.



La riforma della Pubblica Amministrazione è interna ad un processo di trasformazione dell’intero sistema sociale e non è pensabile che agendo da un unico punto sia possibile arrestare la trasformazione in corso. La costruzione di un nuovo soggetto sindacale che pratichi una confederalità progettuale capace di costruire opposizione sociale a partire dai posti di lavoro, siano essi pubblici o privati, che imponga un modello sociale solidale, è la strada che dobbiamo percorrere.



Abbiamo di fronte la necessità di un nuovo ciclo di lotte sociali che impongano una nuova soggettività e la ricomposizione della classe a prescindere dalle divisioni costruite sia sul piano normativo contrattuale, che su quello culturale.

Rimanere ancorati ciascuno alle proprie vertenze di posto di lavoro o di categoria non porta da nessuna parte, non solo perché non si risolve la vertenza, ma si è costretti ad arretrare fino a subire soluzioni che non risolvono ma diventano umilianti facendo introiettare il senso della sconfitta ai lavoratori.



In questo quadro è necessario adeguare il nostro progetto e i nostri obbiettivi  a quanto ci  viene imposto dalle forze di governo ma che le forze non governative condividono nella sostanza. E’ sufficiente pensare al Memorandum del 2007 di Cgil Cisl Uil e alla approvazione dell’allora Governo Prodi.


   
Riprendere l’iniziativa e opporsi concretamente alla riforma Brunetta, puntare ad una importante affermazione delle  liste RdB alle RSU di Novembre prossimo in tutti e 4 i comparti ed in particolare raggiungere la “maggiore rappresentatività”  nel Compartone e nel comparto Sanità- Regioni; questi sono gli obiettivi che tutta la federazione RdB si è data e sui quali crediamo necessario un coinvolgimento delle altre organizzazioni che con noi daranno vita all’Unione Sindacale di Base.



L’obiettivo della maggiore rappresentatività in due comparti  consentirebbe al nuovo soggetto sindacale che stiamo fondando di partecipare a pieno titolo al confronto con il Governo.


 Allo stesso tempo la campagna elettorale RSU, alla quale dovremo affiancare una campagna di adesione, ci potrà permettere di aumentare sostanziosamente la presenza negli enti locali e nel comparto scuola dove l’assenza, in questi anni, di un sindacato di base ha reso i lavoratori di questo settore ancora più deboli e incapaci di rispondere ai gravissimi attacchi portati avanti dal governo Berlusconi.




Non pensiamo di avere vita facile ma d’altronde questo accade ormai da 30 anni a questa parte e non ci facciamo spaventare.



La riforma della P.A. ci impone ovviamente  una riorganizzazione interna che sia aderente alle necessità che i lavoratori avranno all’interno dei nuovi comparti di contrattazione.


Per questo da inizio anno abbiamo dato vita a  gruppi di lavoro corrispondenti a questi 4 comparti.


I gruppi di lavoro nazionali hanno una loro articolazione sui territori regionali e lavorano alla definizione degli strumenti di propaganda ( piattaforma di comparto per i rinnovi contrattuali etc ) e  alla progettazione dell’intervento per raggiungere gli obbiettivi che ci siamo dati.


Crediamo e proponiamo che sia proprio all’interno di questi gruppi di lavoro che abbia inizio una unità non solo formale ma sostanziale, basata su un confronto quotidiano, fra le diverse organizzazioni che daranno vita a USB.

In questo senso: la pratica quotidiana, il lavoro comune, la condivisione delle decisioni da assumere nella campagna RSU, varranno più di mille parole e, siamo sicuri, ci permetteranno di superare con slancio le differenze derivanti dalle rispettive storie, dai differenti modelli organizzativi di provenienza  e ci permetteranno di raggiungere importanti obiettivi per l’intera  Unione Sindacale di Base.